domenica 2 luglio 2000

The House on the Borderland


The House on the Borderland *** (USA 2000, col, pag. 96) Soggetto: Simon Revelstroke. Disegni: Richard Corben. Due giovanotti, in scampagnata per la fascinosa Irlanda dei piccoli villaggi, s’imbattono in una casa in sfacelo ed isolata, dove trovano un manoscritto. Da esso apprendono che l’ultimo proprietario dell’inquietante maniero, accompagnato solo dalla sorella e dal cane, aveva laggiù abbandonato i rapporti col resto del mondo, solo per trovarsi assediato da creature suine dalle intenzioni indicibili. Succube d’una vita d’indistinguibile mistura tra incubo apocalittico e realtà di follia, l’autore dello scritto assiste persino allo spegnimento del sole, finché si autodestina, in un futuro d’inverni perenni, a vigilare sul “confine” che separa le creature dell’abisso dal mondo di cui vorrebbero impossessarsi. Lunga novella del 1908 di William Hope Hodgson – che cita evidentemente il Poe della Casa degli Usher, e sarà di grande ispirazione per Lovecraft [che già riconosceva i meriti dell’autore irlandese, ma con certa ritrosia] –, è qui adattata alla forma fumetto da due autori consolidati, che decidono di rispettare il racconto in prima persona a più livelli – l’io narrante legge il manoscritto nei propri ricordi, ed il manoscritto stesso racconta di sogni e fantasie -, oltre all’intrinseca incomprensibilità di molti passaggi e del finale. Se Revelstroke si è attirato pletore di critiche per la fedeltà/infedeltà dell’adattamento, un Richard Corben misurato regala momenti di grande fascino grafico, e traduce in “spiegazioni” visive il fiume di parole con cui – in ritardo già nei primi anni del secolo – Hodgson intendeva evocare gli angeli d’oscurità che s’annidano nell’animo umano [il romanzo moderno, in contemporanea o di lì a poco, lo supererà ampiamente su altri registri e migliori obiettivi].
Molto buona la confezione del volume USA Vertigo, ed anche dell’edizione italiana, che presenta una traduzione dall’inglese adeguata allo sforzo – parzialmente centrato - del duo artistico.
Prefazione – evasiva – di Alan Moore.


giovedì 29 giugno 2000

Hellblazer: Hard Time


Hellblazer: Hard Time ***½ (USA 2000, col, pag. 128). Soggetto: Brian Azzarello. Disegni: Richard Corben. L’inglese John Constantine sta scontando una condanna a trentacinque anni in un carcere statunitense. Appena entra, viene messo al corrente sui diversi gruppi sociali – italoamericani, musulmani, portoricani -, e sulle regole non scritte che i detenuti riconoscono. Eppure preferisce lo scontro diretto con chiunque, salvo un’opportuna amicizia con l’anziano ergastolano che si autodefinisce capo della comunità carceraria. In realtà quest’ultimo attende il momento opportuno per incastrare il neo-arrivato per l’omicidio di una guardia. Ma Costantine ha degli assi nella manica: sobilla una sanguinosa rivolta, e la sua influenza sui compagni diventa strumento per crudeli rese dei conti.
Pubblicato in cinque episodi nella collana DC/Vertigo “Hellblazer” nel 2000, questo racconto con protagonista lo stregone John Constantine è raccolto poi in singolo volume paperback: pretestuosamente un fumetto mainstream, appare piuttosto un romanzo grafico sui generis. I due autori – Brian Azzarello scrive anche “100 Bullets” per la stessa linea editoriale, Richard Corben è ragionevolmente l’iniziatore nel 1975 della tradizione del graphic novel – producono una storia la cui autonomia narrativa è un escamotage – forse voluto dai businessman della grande casa di fumetti DC - per conquistare i lettori occasionali. La crudezza della vicenda [il detenuto impopolare a cui servono minestra con vetro tritato; il traditore a cui è mozzata la lingua] percorre i cliché del racconto epico urbano novecentesco post-esistenzialista offerto alle masse-compratori: infatti l’inferno – l’antagonista ideale della collana “Hellblazer” –, e la somma di molti esseri umani irrefrenabili, si equivalgono. Ad elevare un’opera di forti emozioni splatter verso notevoli risultati artistici, interviene soprattutto lo stile antinaturalista di Corben, che ritrova sé stesso nelle radici d’auto-produzione anni ’60 - comunque l’intesa tra i due autori, assai diversi d’età e per riferimenti, è ammirevole. Le poche note stonate, tra cui una chiusura frettolosa – Costantine verrà liberato su due piedi da un agente plenipotenziario dell’F.B.I. –, e l’eterogeneità di genere – dal carcerario all’horror [non dichiarato, quest’ultimo, ma atteso dal target], al melò - sono accettabili in virtù dell’impegno sopra la media - e del grande amore con cui è proposto un fumetto altrimenti uniformemente disturbante.
In Italia esce – pure - in cinque parti, nella rivista “Vertigo Presenta” con ottimo adattamento italiano, ed una intenzionale carenza di apparato critico.

giovedì 15 luglio 1999

Adastra in Africa

Adastra in Africa *** (USA 1999, b/n, pag. 56) Soggetto: Barry Windsor-Smith [Barry Smith]. Disegni: Barry Windsor-Smith [Barry Smith]. Nel cuore dell’Africa Nera la dea Adastra porta acqua e vegetazione in un villaggio afflitto dalla carestia. A questo popolo tragico è chiesto però un ultimo sacrificio.
Favola dolceamara nel più autentico stile di Barry Windsor-Smith, da un lato ancora memore della collaborazione artistica con Chris Claremont, dall’altro entusiasticamente fiducioso nel nuovo corso della sua avventura editoriale “Storyteller”. Opera breve ed intensa, va amata come poesia, accettata nella sua vaga ed evocativa ispirazione Joyciana, e compresa per la sua particolarità sperimentale: Adastra “pensa” [tutta la prima parte utilizza solo didascalie in prima persona] come nei versi del Grande Bardo, ma “parla” lo slang dei quartieri popolari di New York. Altrettanto i disegni, in bianco e nero [prima prova senza il colore per Windsor-Smith, se escludiamo qualche antico fumetto su “Epic Illustrated”], sono un dialogo privato tra l’artista ed il suo immaginario, persi in mille dettagli al limite della leggibilità, a discapito delle profondità di campo, e solo lontanamente al servizio della sceneggiatura. Una prova di coraggio, se possibile da amare senza chiedere altro.
L’edizione italiana, arrivata solo nel 2005, manca l’obiettivo di trovare un registro linguistico per le didascalie di gusto elisabettiano – ed è un peccato.

venerdì 4 giugno 1999

Figate


Figate *** (ITA 1999, col e b/n, pag. 100) Soggetto: Filippo Scòzzari. Disegni: Filippo Scòzzari. Non si tratta di una raccolta a fumetti propriamente detti, ma d’una ragionata selezione di illustrazioni che Scòzzari nei quindici anni precedenti l’uscita del libro, ha pubblicato un po’ ovunque, da Frigidaire, a – la parte più corposa – la rivista Blue, diretta dallo stesso Francesco Coniglio qui curatore del volume – oltre ad una sezione inedita realizzata appositamente: disegni e dipinti a soggetto Suor Dentona.
Se il volume è studiato soprattutto per rendere disponibile ad un pubblico meno di nicchia, rispetto a quello della citata Blue, le molte opere realizzate da Scòzzari per il mensile erotico, ciò ha un senso preciso, perché quegli anni [primi ‘90] hanno rappresentato nuova linfa artistica per il maestro del fumetto italiano – valendogli, cosa più importante tra molti riscontri possibili, il plauso e lo stupore di colleghi, vecchi e nuovi compagni di cordata, che a questo approccio “d’elite ” si sono poi ispirati, nutriti, ricaricati.
Pertinente dunque la confezione extra-lusso: grande formato, copertina cartonata, stampa d’altissima qualità – anche se Scòzzari, autore anche del bel progetto grafico, non ci concede di riporre finalmente negli scaffali qualcosa di completo, esauriente, definitivo. Giocando infatti col lettore, il co-fondatore di Frigidaire cambia titoli alle illustrazioni rispetto alla prima pubblicazione, o successive esposizioni in gallerie; le date scritte a mano sulle tavole sono spesso di pura fantasia; alcuni – molti – disegni sono ritoccati, camuffati e re-inventati. Anche studiando la filologica mappa nelle ultime due pagine del libro, ci si trova alla partenza verso una caccia ad altri volumi, vecchi albetti, nuove mostre – ove finalmente catturare un lavoro in perenne progresso, di per sé inafferrabile.
Niente fumetti, dunque. Ma se il viaggio nel “new deal” Scòzzariano, che ama citare amabilmente solo sé stesso, si nutre d’una foll[i]a di riferimenti multimediali - le caratterizzazioni tardo impressioniste alla Toulouse-Lautrec, i gusti cromatici pop di Peter Max, il grottesco pre-rinascimentale di Hieronymus Bosch - sono ancora i comics underground USA, l’onirico Moebius, il nuovo fumetto digitale, a motivare la matita dell’autore - dunque questo libro è “anche” un unico lungo fumetto, da leggere/sfogliare con la stessa passione che ha fatto amare a tre generazioni “La Dalia Azzurra” e “Dottor Jek”.
Il volume, per sua stessa vocazione, è stato distribuito internazionalmente - con riconoscimenti che meritano quanto il libro: un noto rivenditore d’arte erotica e bizzarra statunitense lo segnala come “very disturbing” – che, considerato il tono incensatorio dello strillo promozionale, dev’essere un bel complimento.
“Figate” ha ricevuto la nomination al Comicon di Napoli del 2000, nella categoria “miglior disegnatore dell’anno”.


martedì 4 maggio 1999

Diabolik – Il re del terrore

Diabolik – Il re del terrore ** 1/2 (Ita 1999, b/n, pag. 128) Soggetto: Angela Giussani, Luciana Giussani. Disegni: non accreditati. Il ricco affarista Stefano Garian torna da un soggiorno di lunghi anni in India, in occasione della maggior età del figlio Gustavo – che entrerà in possesso di una grossa fetta del patrimonio di famiglia. Ma la sera precedente l’arrivo, alla suntuosa villa della cugina di Garian padre - la donna ha cresciuto Gustavo come un figlio – quest’ultima viene brutalmente uccisa. Dopo una serie di colpi di scena [tra l’altro sembra che Gustavo si sia suicidato], padre e figlio scappano assieme, per evitare le conseguenze d’indagini di polizia che vedono proprio Gustavo principale sospetto, per un momento di follia omicida di cui pare non ricordare nulla.
Ristampa semi-anastatica del primo celebre numero della collana dedicata all’inafferrabile criminale Diabolik – uscito nel novembre 1962 -, ripropone la contorta trama in cui il “re del terrore” è demoniacamente onnipresente, senza che sia rivelato il suo ruolo, se non a vicenda inoltrata.
Le caratteristiche degli albi più standardizzati degli anni che verranno sono qui tutti tracciati: l’ispettore Ginko è una miscela di dedizione alla causa della legge e di amarezza per i continui fallimenti nella caccia a Diabolik; la terribile fama del protagonista in nera calzamaglia è l’argomento monopolizzante dei “pour parler” dei semplici cittadini; e Diabolik già uccide all’arma bianca senza esitazione o relazione alcuna col fatto che la vittima sia o meno un pericolo per lo stesso.
Privo ancora della nera Jaguar con cui siamo soliti associarlo, ed ancora lontana la bella Eva Kant, nelle sue apparizioni in borghese il criminale è un uomo glaciale, fascinoso e seduttore [alla fine della storia fuggirà in compagnia d’una inconsapevole ed innamoratissima infermiera, che ha avuto un involontario ruolo nella messa a segno del colpo di Diabolik], ed è rappresentato con uno stile nel disegno che attinge piacevolmente all’espressionismo astratto statunitense – anche se retini e tratteggi, utilizzati con quanto più anti-naturalismo possibile, rendono a volte illeggibili le vignette.
Le note critiche finali [ovviamente scritte nel 1999] ci spiegano come e quando, a partire dall’agosto 1964, quest’albo venne ridisegnato da un’altro artista, e riproposto sia nell’edizione originale sia in quella apocrifa, in una lunga lista d’occasioni. Ma, secondo la casa editrice di Diabolik Astorina, questa ristampa, concessa in licenza alla Max Bunker Press, è senza’altro quella definitiva.

lunedì 15 marzo 1999

300

300 **½ (USA 1999, col, pag. 88) Soggetto: Frank Miller. Disegni: Frank Miller. Nel 480 AC la penisola Ellenica è minacciata dagli eserciti di Serse, il re Persiano venerato come un dio. Leonida, condottiero di Sparta, ne uccide il messaggero in spregio alle leggi, e – dopo aver consultato l’Oracolo – si prepara con 300 valorosi verso una guerra apparentemente persa.
Frank Miller, il celebrato creatore di Elektra e della serie “Sin City”, con grande impegno manageriale ed artistico ricrea a fumetti la battaglia delle Termopili, la cui importanza è moderata per gli storici, ma che l’autore del Vermont amò nell’infanzia attraverso il film del 1962 “The 300 Spartans”. L’approccio Milleriano, digerito il polpettone cinematografico, è però adulto e colto. Assistito dalla moglie Lynn Varley ai colori, racconta la cupa figura di Leonida nei ricordi degli addestramenti adolescenziali, mentre saggia il morale delle truppe sul campo, ed infine in battaglia, dove si distingue per valore e strategie. La narrazione è cadenzata da alcune scene da immaginario collettivo [“torna col tuo scudo – o su di esso”], ed una sequenza in particolare – il rifiuto da parte di Leonida di arruolare lo spartano deforme – eleva le antiche lotte tribali Omeriche ad una assai accorata religione della guerra. Col piacere di ritrovare il disegno classico d’un autore che da anni lavora coi soli mezzitoni bruciati, restano le perplessità per una seducente successione di scene guerresche, sovrastate dalle campiture nere delle masse rocciose, dalla pioggia di lance, dove solo abili artifizi grafici differenziano amici e nemici – unici messaggi inconsci di Miller sugli spargimenti di sangue dovuti ad arroganza, monomanie militaresche [“vedi, vecchio mio? Ho più soldati di te”], ed incapacità al dialogo. Le connessioni con l’amministrazione Bush, ed il suo corrispettivo arabo Saddam Hussein, sono state notate molti anni più tardi, mentre l’opera riceveva ampio consenso, ed il prestigioso Harvey Award.
L’epopea dei 300 viene pubblicata su comic-book nel 1998, in formato – non a caso – “wide screen” su due pagine affiancate. Ristampato in volume orizzontale l’anno successivo, il fumetto è leggermente modificato dall’autore, per consegnare un volume coerente e di facile lettura. In Italia conserva il titolo originale in due edizioni quasi identiche.

sabato 23 gennaio 1999

Kriminal – Il re del delitto

Kriminal – Il re del delitto *** (Ita 1999, b/n, pag. 128) Soggetto: Max Bunker. Disegni: Magnus. Londra 1964: tre influenti soci in affari, Grant, Bruke e Harrison, proprietari della potentissima Ireland Petroleum, ricevono dei truci messaggi: l’aver estromesso il socio fondatore Logan, poi finito suicida, costerà loro carissimo. Quasi una vendetta dall’aldilà, una rapida successione di macabri eventi porterà dapprima alla decapitazione del figlio di Harrison in un incidente motociclistico, poi alla morte dei tre affaristi, secondo i modi più spietati possibile.

Prima avventura in assoluto dell’ispettore Milton e naturalmente del suo implacabile antagonista Anthony Logan – che apprenderemo essere figlio del socio suicida – che, nei panni dell’inafferrabile assassino Kriminal, ingaggia sullo sfondo di un thriller a base di quote azionarie rubate e giacimenti petroliferi miliardari, il primo dei numerosi scontri con l’integerrimo poliziotto della Corona.

Pubblicata in origine nell’agosto del 1964, questa ristampa, in numero unico semi-anastatico, rappresentò l’inizio della fortunata serie dedicata a Kriminal, che in breve giungerà addirittura ad una periodicità settimanale.

Considerata comunemente dagli storici del fumetto una testata inaugurata “sulla scia del successo ottenuto da Diabolik” [Fossati], circostanza peraltro ammessa dal creatore Luciano Secchi/Max Bunker, che ricicla la prima avventura del concorrente in vari punti – ad esempio il criminale viene introdotto ai lettori durante un ricevimento “bene”, tra le chiacchiere che riecheggiano una truculenta fama già acquisita -, e nonostante entrambi siano personaggi mascherati che colpiscono occultamente mediante un’intelligenza superiore, con un agire senza remore, ed entrambi siano dotati un magnetismo esercitato su affascinati quanto sfortunate esponenti del gentil sesso -, questo esordio dal duo Magnus & Bunker [duo destinato a divenire celebre] doppia di parecchie lunghezze, sia nelle competenze tecniche che nella qualità artistica, la propria fonte di ispirazione.

Metabolizzata egregiamente la lezione del cinema di Joseph Losey, Nicholas Ray, Elia Kazan, sul mal di vivere dei giovani “maudit” - portatori non del tutto consapevoli delle tematiche Sartiane -, Max Bunker miscela per il carattere del suo Anthony Logan le interpretazioni di Anthony Perkins in “Psyco”, di Warren Beatty in “Spendore sull’erba”, o lo stesso Mongomery Clift - ma lo vuole, graficamente, soprattutto a misura d’un Terence Stamp appena esordiente.

Il giovane disegnatore Raviola, qui semplicisticamente bollato dalla recente critica come acerbo, sciorina in 120 pagine a due sole vignette una folta serie di icone grafiche destinate a penetrare il gusto e gli standard della nona arte – dal viso falsamente innocente della moglie di Bruke, che torna da una notte con l’amante [lo stesso Kriminal], alla medesima che cade a terra percossa dal Re del Delitto, senza che sia rappresentata la violenza, o ad un Kriminal camuffato da vecchietta minuta e ricurva, fino alla Camusiana impiccagione di Bruke – mentre la tanto citata enfasi di sesso e violenza - come la morte in un film bellico -, è riscontrabile solo a ragione.

Nelle note del volume Max Bunker segnala questa ristampa come la prima nel formato libretto, dopo un unico precedente del 1989. In realtà l’episodio venne ripubblicato in appendice ad un numero doppio della serie regolare di Kriminal [il 250], ma con alcuni interventi di auto-censura.

Alla copertina, da questo numero uno in poi, e per quasi dieci anni, il bravo illustratore Luigi Corteggi.

domenica 15 novembre 1998

Le Sommeil du monstre **** (FRA 1998, col, pag. 69) Soggetto: Enki Bilal [Enes Bilal]. Disegni: Enki Bilal [Enes Bilal]. New York negli anni '20 del XXI secolo. Nike Hatzfeld, un uomo nato a Sarajevo sotto le bombe del conflitto Serbo-Bosniaco, ormai adulto, ha poteri speciali. Attira l’attenzione d’un ordine sovversivo, la doppia O, che tenta di soggiogarlo. Nike ha un legame con Leyla e Amir, due connazionali che altrove contrastano, senza piena coscienza, il tentativo della doppia O di manipolare gli adepti, e di controllare informazioni di importanza mondiale. Lo stesso Nike, credendo d’essere protetto da forze governative, si scontra con connivenze d’alto loco. Pur comprendendo parzialmente l’ordito, infine Nike riesce a scongiurare il pericolo incombente, ed a ritrovare Leyla.
Discepolo di Moebius ed eccellente rappresentante della Francia di Metal Hurlant, il serbo Bilal si allontana dall’impegno politico e dalla sociologia mediatica praticata in collaborazione con Christin, per tornare all’antico amore della fantascienza bionica, lungo una vicenda dalla perfezione strutturale, priva d’alcun debito verso letteratura e cinema. Gli artifizi narrativi – idiosincrasie per impianti protesici, convivenza con gli automi, bio-tecnologia al confine tra medicina ed ingegneria – sono il tallone d’Achille dell’autore, che dedica troppo tempo ad atmosfere e temi digeriti ed invecchiati. La messa in opera, delicati pastelli al disegno, ed adeguata interazione degli elementi testuali, è alto professionismo, al punto che l’autore astrae da essi liberandosi da qualsiasi ostacolo esecutivo. Pure, le tematiche che offrono spunti soprattutto su controlli tecnologici occulti, sono poco interessanti per l’autore stesso, e Bilal – nel suo accorato grido primale per la lacerante guerra in patria [tutto riservato alle didascalie] – guarda alle relazione sentimentali come unica dimensione umana salvifica. Tutto il resto è interferenza, che, da umile fumettista, riserva al contesto mediatico in cui è consacrato artisticamente.
Tradotta in Italia col titolo “Il sonno del mostro”, la graphic novel ha due seguiti: “32 dicembre”, e “Appuntamento a Parigi”. Un ulteriore capitolo, “Quattro?” è uscito nel 2007.

lunedì 9 febbraio 1998

A Family Matter


A Family Matter *** (USA 1998, b/n, pag. 64) Soggetto: Will Eisner. Disegni: Will Eisner. Romanzo corale: il nullafacente Joe attende la fortuna attraverso una concessione petrolifera; Molly è una mamma manager che esibisce la famiglia, ma incapace d’affetto; la bella Selena attira l’interesse di molti uomini scapestrati e disordinati come la stessa quotidianità di lei; Leo è avvocato, ma fallisce di continuo nel far valere le proprie doti di intrallazzatore; infine Greta - anch’essa madre e sposa esemplare - cerca di sbarcare il lunario occupandosi del padre novantenne oramai paralitico. Cinque vite, cinque fratelli che, in occasione del compleanno dell'anziano padre – che convive con Greta – ribadiscono attraverso battibecchi, con le proprie intime memorie, la silente conflittualità d’una famiglia la cui storia è segnata da tradimenti, abusi sessuali, persino eutanasia – mai chiaramente rivelata – della mamma malata terminale. Alla conclusione di una lunga cena in cui il padre e cinque figli giungono ad un’ideale resa dei conti, l’epilogo porterà alla capitolazione estrema di uno dei membri della “famiglia”.
Will Eisner, che dall’epoca di “Contratto con Dio” [1978] dedicava la sua arte solo al graphic novel, esce nel 1998 con un romanzo strutturato come dramma teatrale trattenuto. Tipicamente fumettistico, il conflitto tra protagonisti avviene con argute offese verbali, attraverso sesso consumato all’istante e bilanci esistenziali fallimentari. Come spesso nel nostrano Andrea Pazienza, anche Will Eisner commuta l’avventura tradizionale poliziotto/criminale, innestandola nelle memorie della quotidianità del proprio vissuto. Il pessimismo di Eisner, enunciato con piglio filosofico nella postfazione dell’autore medesimo, è tipicamente letterario-snob, da orecchiante - ma l’impianto teatrale della formulazione in strisce disegnate, con numerose idee innovative nella stesura registica, è piacevolmente calligrafico. Infine la trama - dispersiva e scritta con palese fretta - non riesce a farsi amare: così il disegno – alcuni schizzi sono pubblicati alla fine del volume – è altrettanto semplificato, e rinuncia della spettacolarità di scorci urbani ed epifanie chiaroscurali ove Eisner eccelleva. La piacevolezza del fumetto è probabilmente superiore alla sua produzione effimera, ma va goduta in qualità di frammento minore della vasta produzione Eisneriana.
Pubblicato in formato graphic novel in Italia - quasi contemporaneamente all’edizione originale, “Affari di famiglia” viene ristampato nella “Will Eisner Library” della DC Comics nel 2009.

lunedì 27 febbraio 1995

Happy Birthday Martha Washington


Happy Birthday Martha Washington ** (USA 1995, col, pag. 32) Soggetto: Frank Miller. Disegni: Dave Gibbons. Tre racconti brevi nel futuro apocalittico della soldatessa Martha Washington. Su “Danni collaterali” New York è sotto le bombe, e gli abitanti imparano a mettersi al sicuro nell’indifferenza dell’esercito. In “Stato dell’arte” Martha ingaggia un combattimento lacustre con un avversario parimenti tecnologicizzato. Su “Insubordinazione” la missione è recuperare un campione di sangue del supersoldato Capitan Kurtz, probabilmente alla sua ultima battaglia.
Raccolti in albo unico, tre brevissimi episodi delle vicende guerresche della protagonista di “Give Me Liberty”, e di altre graphic novel successive. Mentre è dedito ad una critica abbastanza onesta dei metodi guerrafondai, lo scrittore Frank Miller si diletta in citazioni profuse ovunque [in particolare Kurtz/Capitan America, ed il topos de “Il mio nemico”], ma decisamente il panico da bombardamento sembra testimonianza, di prima mano, delle paure di chi era in Europa durante l’ultima Guerra Mondiale. Il giudizio dell’autore sulle questioni belliche – come succede spesso nella letteratura americana – è commisto con la fascinazione per le tematiche predilette dagli uffici del marketing, e Miller possiede una bibliografia coerente coi venditori multimediali di facili emozioni. Belle comunque le illustrazioni di Dave Gibbons che non fa una piega.

mercoledì 19 gennaio 1994

Marvels

Marvels *** (USA 1994, col, pag. 216) Soggetto: Mark Waid. Disegni: Alex Ross. New York, fine anni trenta. Il giovane fotografo Phil Sheldon insegue qualunque fatto di cronaca gli permetta di collaborare con quotidiani e rotocalchi. La Seconda Guerra Mondiale incombe, forse una strada dura ma sicura. Sheldon cerca di farsi inviare in Europa, ma qualcosa succede a NYC: la metropoli si popola di esseri dai poteri straordinari, che conducono folli battaglie, sventano minacce venute dallo spazio. Il fotoreporter ha trovato il soggetto della sua opera: le “Meraviglie”. In un arco di trentacinque anni pubblica libri ed articoli sui superuomini americani, per tornare, alla fine della sua carriera professionale, a puntare l’obiettivo verso sé stesso, la sua famiglia, la quotidianità che aveva scordato.

Pamphlet autocelebrativo della Marvel Comics, che non tralascia proprio nulla della vita editoriale che la rese celebre negli anni sessanta (l’arrivo di Galactus e la morte di Gwen Stacy in primis), senza trascurare i comic book della Golden Age – le primissime storie di Sub-Mariner e di Capitan America & Bucky, poco note da noi.

Il racconto è svolto con illustrazioni iper-realistiche, a sancire il proposito velatamente ricattatorio dei testi – “noi eravamo lì, abbiamo sofferto con le Meraviglie, avuto paura, gioito e pianto” -, ma scomodare addirittura Norman Rockwell, come certa critica italiana, per pur bellissimi acquarelli, sembra eccessivo: essi suggeriscono analogie piuttosto con le vecchie copertine de “La Domenica del Corriere”, delle quali Alex Ross, pur americano, ne sposa la filosofia dello “strano ma vero”.

“Marvels” è stato serializzato nel 1994 in un formato – e con intenti – che lo ponevano al naturale testimone del cosiddetto Rinascimento Americano (“Dark Knight Returns”, “Watchmen”), ma ironicamente di quel periodo ne è anche l’epitaffio: da allora in poi l’Autore lascia il posto alla macchina produttiva a base di colori digitali, ipertrofie ed architetture barocche, confezionati in volumi con ologrammi, copertine “variant”, e mille espedienti di marketing, che affosseranno per anni le vendite e la fiducia dei lettori del genere supereroistico.

Successo comunque planetario per questa graphic novel, che ha ricevuto decine di ristampe in tutto il mondo. In Italia sono state pubblicate tre diverse edizioni, due cartonate ed una economica: quest’ultima, per la biblioteca di Repubblica, mostra pericolosamente che l’autore dell’introduzione non ha mai letto l’opera. Nella medesima edizione le tavole sono bellamente tagliate ai bordi laterali.

domenica 16 gennaio 1994

Death: The High Cost of Living

Death: The High Cost of Living *** 1/2 (USA 1994, col, pag. 104) Soggetto: Neil Gaiman. Disegni: Chris Bachalo, Mark Buchingam. Nel mezzo d’una discarica Newyorkese fanno fortuita conoscenza Sexton, confuso sedicenne figlio di separati - che confidata al computer la sua determinazione a suicidarsi -, e la bella punk-rocker Didi, poco più che coetanea, disadattata anch’essa: recenti lutti e cascate di pensieri bizzarri. I due consolidano nel giro di ventiquattr’ore, quasi senza dormire, una strana amicizia [lui: “Senti, tu non mi piaci, hai capito?”], che vede come sfondo frenetiche discoteche, pericolosi bassifondi, fast-food appena aperti all’alba, ed un susseguirsi di eventi attraverso i quali i due - in realtà la stessa Didi ci avvisa [come si intuisce sin dal titolo] d’essere molto più di ciò che appare - saranno coinvolti in un tragico gioco ben più grande di loro.

Favola urbana con pochissimi momenti di azione, nel suo caleidoscopio d’ambientazioni predilige indugiare sugli aneddoti raccontati da terze persone, o su commosse caratterizzazioni dei personaggi di contorno.

La sceneggiatura dell’inglese Gaiman, debitrice più del viaggio americano su pellicola di Schlesinger, e di certe atmosfere del team O’Neil/Adams fine anni sessanta, più che dei registri tipici del genere supereroistico, nel cui mainstream pure si inserisce [Death/Didi è la sorella del signore dei sogni Sandman, con cui già giocò Jack “Re” Kirby negli anni ‘70], è, salvo qualche piccola sbavatura, assolutamente perfetta nel costruire una parabola del disagio esistenziale, nei significati che la morte ci obbliga ad attribuire ad una vita di passaggio.

Dalla sua il disegnatore Bachalo, che in altre prove ha mostrato troppa dedizione agli sperimentalismi riciclati da Sienkiewitz di “Stray Toaster”, qui s’abbandona ad un naturalismo adeguato alla vicenda, arricchito dalle caratterizzazioni di certa vignettistica stile New Yorker, ancorché perfezionata dal gusto fumettistico inglese (i tratteggi di Brian Bolland, le linee soffici di John Bolton).

La coppia d’autori, gratificata dalle rispettive performance, tornerà al lavoro su un seguito, “Death: The Time of Your Life”, nonostante Didi ci avesse avvertito che quella era una giornata particolare: avviene una volta in un secolo.

Se nel frattempo non si riesce a togliere questo volume dal comodino, s’è giustificati da molte ragioni, non ultima l’originale cover di Dave McKean con sovrimpressioni in oro (rispettate meritevolmente dall’editore italiano).

Ma la menzione speciale va al veterano Steve Oliff, i cui bellissimi colori sembrano condurci a passeggio in una Grande Mela di leggere brezze, suoni soffusi e profumi d’autunno.