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venerdì 21 gennaio 2005

Wolverine – Le origini


Wolverine – Le origini ***½ (ITA [USA] 2005, col, pag. 256) Soggetto: Chris Claremont, Paul Jenkins, Bill Jemas, Joe Quesada [Joseph Quesada]. Disegni: Frank Miller, Josef Rubinstein, Andy Kubert [Andrew Kubert]. Bel volume antologico che raccoglie due paperback: “Wolverine” [1982] disegnato da Frank Miller, e “Origins” [2001] con l’arte di Andy Kubert. Si tratta di due romanzi grafici dov’è protagonista il mutante più popolare dell’universo Marvel: Wolverine [il ghiottone]. Nato col potere di sanare velocemente le ferite, Logan/Wolverine vanta un passato assai articolato, narrato per la prima volta nella seconda avventura del volume, ed in parte sulla miniserie “Weapon X” di Barry Windsor-Smith – assai contestata dallo scrittore Claremont, quindi relegata dalla Marvel nel “parco” delle opere d’autore, per amor di concordia. Chris Claremont – sceneggiatore della prima graphic novel del volume – ha retto le sorti dei mutanti dal primo numero del nuovo corso anni ‘70, e da sempre ama centellinare le rivelazioni sulle origini del personaggio, offrendo qui più suggestioni che fatti. La Marvel Italia, che cura questo volume a prezzo popolare per “I classici del Fumetto di Repubblica”, si contenta dell’ottima riproduzione di stampa [vedi “Wolverine”], e della qualità artistica di entrambe le opere – soprattutto quella di Miller, che architetta un intrigante ibrido tra comic-book statunitensi e saghe guerriere nipponiche.
Il corredo redazionale/iconografico è di ottima qualità. Presenti tutte le copertine degli albi da cui sono tratti i paperback, meritevolmente riprodotte dagli art-work originali [senza titoli sovrapposti]. Altre copertine storiche di Wolverine sono pure ristampate, tra cui due da “Weapon X”.

sabato 31 gennaio 2004

venerdì 30 gennaio 2004

Marvel 1602

Marvel 1602 ** 1/2 (USA 2004, col, pag. 216) Soggetto: Neil Gaiman. Disegni: Andy Kubert. Nell’Europa secentesca della regina Elisabetta, dell’inquisizione, delle brame di potere che generano trame sordide e cruente battaglie tra grandi nazioni e piccoli regni in pericolosa ascesa, la fine del mondo non è più annunciata da isolati e funesti profeti: il cielo è pregno di fiamme, di scariche elettriche senza temporali – essa è qui.
La causa del tutto è una perturbazione nello spazio-tempo, che ha portato il “precursore” del ventunesimo secolo in questa epoca che non gli si addice, ma che non vuole abbandonare. I nostri super-eroi [è il caso di dirlo] - dopo molte peripezie, viaggi per terra e per mare, rendendo inoffensive le più diverse minacce collegate, ma anche in segreto conflitto, tra loro –, dopo morti e rinascite [ci rimette platealmente la pelle persino la regina Elisabetta] -, riusciranno a sistemare le cose, forse con improbabili, implicitamente annunciati, sviluppi futuri [il finale è aperto].
Originale tentativo di Neil Gaiman, al suo primo lavoro importante per la Marvel Comics, di adeguare i personaggi di Stan Lee all’anno di grazia 1602. Nick Fury è colui che previene e recide complotti ai danni della regina, Stephen Strange è il medico di corte, i Fantastici Quattro sono coraggiosi avventurieri dei mari, Thor è il segreto dei Templari, il Dottor Destino un monarca dell’Europa centrale che ambisce [pensa un po’] alla conquista del mondo.
I topos della Silver Age ci sono tutti [non mancano ragni radioattivi, mutanti buoni e cattivi, ciechi dotati di ultrasuoni, mostri verdi che, prima di un’esplosione che ne scatena la furia, erano timidi e “normali”], così la narrazione, soprattutto nella prima parte, è intrigante e ricca d’attese. Gaiman sceneggiatore non manca di citare il William Shakespeare dell’Enrico V, l’Alan Moore di Watchmen, e certo cinema videoclip degli ultimi anni – ma l’espediente d’interrompere continuamente l’azione nei momenti “clue” sa più di telenovelas – ed il finale scade nelle più scontate “Secret Wars”, venendo a mancare l’elemento sorpresa d’una spiegazione globale [che arriva poco dopo metà dell’opera], talmente raffazzonata e confusa, che dev’esser mascherata da paroloni che nemmeno l’indiscusso talento dello scrittore riesce a porgere all’intelligenza dei lettori.
Andy Kubert dalla sua, anche alle chine, svolge diligentemente un lavoro su oltre 200 pagine, drammatizzando lo stile di Barry Windsor-Smith, e del Bernie Wrightson dei racconti dell’orrore – ma, quando insegue la sobrietà di Dave Gibbons, manca di rigore.
Grande prova di Richard Isanove ai colori digitali, che, vero, abusano dei tratteggi elaborati con filtri elettronici, e pure l’artista possiede una tavolozza al servizio della trama [i salti repentini di scene/ambienti sono compresi con l’alternarsi delle tonalità dominanti], e soprattutto, come una partitura musicale, nei momenti cruciali [annuncio, climax, e conclusione del pathos], ci conduce attraverso la drammaticità degli eventi.