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sabato 31 gennaio 2004

venerdì 30 gennaio 2004

Marvel 1602

Marvel 1602 ** 1/2 (USA 2004, col, pag. 216) Soggetto: Neil Gaiman. Disegni: Andy Kubert. Nell’Europa secentesca della regina Elisabetta, dell’inquisizione, delle brame di potere che generano trame sordide e cruente battaglie tra grandi nazioni e piccoli regni in pericolosa ascesa, la fine del mondo non è più annunciata da isolati e funesti profeti: il cielo è pregno di fiamme, di scariche elettriche senza temporali – essa è qui.
La causa del tutto è una perturbazione nello spazio-tempo, che ha portato il “precursore” del ventunesimo secolo in questa epoca che non gli si addice, ma che non vuole abbandonare. I nostri super-eroi [è il caso di dirlo] - dopo molte peripezie, viaggi per terra e per mare, rendendo inoffensive le più diverse minacce collegate, ma anche in segreto conflitto, tra loro –, dopo morti e rinascite [ci rimette platealmente la pelle persino la regina Elisabetta] -, riusciranno a sistemare le cose, forse con improbabili, implicitamente annunciati, sviluppi futuri [il finale è aperto].
Originale tentativo di Neil Gaiman, al suo primo lavoro importante per la Marvel Comics, di adeguare i personaggi di Stan Lee all’anno di grazia 1602. Nick Fury è colui che previene e recide complotti ai danni della regina, Stephen Strange è il medico di corte, i Fantastici Quattro sono coraggiosi avventurieri dei mari, Thor è il segreto dei Templari, il Dottor Destino un monarca dell’Europa centrale che ambisce [pensa un po’] alla conquista del mondo.
I topos della Silver Age ci sono tutti [non mancano ragni radioattivi, mutanti buoni e cattivi, ciechi dotati di ultrasuoni, mostri verdi che, prima di un’esplosione che ne scatena la furia, erano timidi e “normali”], così la narrazione, soprattutto nella prima parte, è intrigante e ricca d’attese. Gaiman sceneggiatore non manca di citare il William Shakespeare dell’Enrico V, l’Alan Moore di Watchmen, e certo cinema videoclip degli ultimi anni – ma l’espediente d’interrompere continuamente l’azione nei momenti “clue” sa più di telenovelas – ed il finale scade nelle più scontate “Secret Wars”, venendo a mancare l’elemento sorpresa d’una spiegazione globale [che arriva poco dopo metà dell’opera], talmente raffazzonata e confusa, che dev’esser mascherata da paroloni che nemmeno l’indiscusso talento dello scrittore riesce a porgere all’intelligenza dei lettori.
Andy Kubert dalla sua, anche alle chine, svolge diligentemente un lavoro su oltre 200 pagine, drammatizzando lo stile di Barry Windsor-Smith, e del Bernie Wrightson dei racconti dell’orrore – ma, quando insegue la sobrietà di Dave Gibbons, manca di rigore.
Grande prova di Richard Isanove ai colori digitali, che, vero, abusano dei tratteggi elaborati con filtri elettronici, e pure l’artista possiede una tavolozza al servizio della trama [i salti repentini di scene/ambienti sono compresi con l’alternarsi delle tonalità dominanti], e soprattutto, come una partitura musicale, nei momenti cruciali [annuncio, climax, e conclusione del pathos], ci conduce attraverso la drammaticità degli eventi.

domenica 16 gennaio 1994

Death: The High Cost of Living

Death: The High Cost of Living *** 1/2 (USA 1994, col, pag. 104) Soggetto: Neil Gaiman. Disegni: Chris Bachalo, Mark Buchingam. Nel mezzo d’una discarica Newyorkese fanno fortuita conoscenza Sexton, confuso sedicenne figlio di separati - che confidata al computer la sua determinazione a suicidarsi -, e la bella punk-rocker Didi, poco più che coetanea, disadattata anch’essa: recenti lutti e cascate di pensieri bizzarri. I due consolidano nel giro di ventiquattr’ore, quasi senza dormire, una strana amicizia [lui: “Senti, tu non mi piaci, hai capito?”], che vede come sfondo frenetiche discoteche, pericolosi bassifondi, fast-food appena aperti all’alba, ed un susseguirsi di eventi attraverso i quali i due - in realtà la stessa Didi ci avvisa [come si intuisce sin dal titolo] d’essere molto più di ciò che appare - saranno coinvolti in un tragico gioco ben più grande di loro.

Favola urbana con pochissimi momenti di azione, nel suo caleidoscopio d’ambientazioni predilige indugiare sugli aneddoti raccontati da terze persone, o su commosse caratterizzazioni dei personaggi di contorno.

La sceneggiatura dell’inglese Gaiman, debitrice più del viaggio americano su pellicola di Schlesinger, e di certe atmosfere del team O’Neil/Adams fine anni sessanta, più che dei registri tipici del genere supereroistico, nel cui mainstream pure si inserisce [Death/Didi è la sorella del signore dei sogni Sandman, con cui già giocò Jack “Re” Kirby negli anni ‘70], è, salvo qualche piccola sbavatura, assolutamente perfetta nel costruire una parabola del disagio esistenziale, nei significati che la morte ci obbliga ad attribuire ad una vita di passaggio.

Dalla sua il disegnatore Bachalo, che in altre prove ha mostrato troppa dedizione agli sperimentalismi riciclati da Sienkiewitz di “Stray Toaster”, qui s’abbandona ad un naturalismo adeguato alla vicenda, arricchito dalle caratterizzazioni di certa vignettistica stile New Yorker, ancorché perfezionata dal gusto fumettistico inglese (i tratteggi di Brian Bolland, le linee soffici di John Bolton).

La coppia d’autori, gratificata dalle rispettive performance, tornerà al lavoro su un seguito, “Death: The Time of Your Life”, nonostante Didi ci avesse avvertito che quella era una giornata particolare: avviene una volta in un secolo.

Se nel frattempo non si riesce a togliere questo volume dal comodino, s’è giustificati da molte ragioni, non ultima l’originale cover di Dave McKean con sovrimpressioni in oro (rispettate meritevolmente dall’editore italiano).

Ma la menzione speciale va al veterano Steve Oliff, i cui bellissimi colori sembrano condurci a passeggio in una Grande Mela di leggere brezze, suoni soffusi e profumi d’autunno.