lunedì 26 maggio 2003

Hulk Gray

Hulk Gray *** (USA 2003, col, pag. 160) Soggetto: Jeph Loeb. Disegni: Tim Sale. La pluripremiata ditta Jeph Loeb & Tim Sale torna alla Silver Age della Marvel Comics, questa volta per concentrare la propria bravura sulla breve vita [editoriale] del titolo “Hulk”, curato con altrettanta maestria, per soli sei numeri, da Stan Lee & Jack Kirby tra 1962 e 1963.
Ed è proprio in una di quelle notti Kennedyane, che il dottor Bruce Banner, investito da un’esplosione nucleare, si trasforma nel suo mostruoso doppio “Hulk”. Appoggiato dal giovane beat Rick Jones, braccato dallo psicotico Generale Ross, temuto ma placato dalla figlia di quest’ultimo, Betty, il potente gigante verde semina distruzione tra le sculture naturali del Gran Canyon, contro proiettili che rimbalzano, carri armati che volano, montagne che si sgretolano – fino ad un classicissimo scontro, veramente molto “era dell’argento”, con lo scintillante Iron Man.
I due talentuosi revisionisti Loeb-Sale, tornati nel luogo del delitto che li aveva portati già ad esplorare gli esordi di Daredevil e di Spiderman, mantengono la medesima fluidità narrativa, e le atmosfere a mezza via tra il racconto dell’anima e l’elegia funebre.
Se resta sorprendente l’abilità d’appassionare e coinvolgere nel formato volume [che raccoglie l’originale “miniserie”] - difficile da lasciare per un istante -, pure fa capolino un’incertezza rispetto alle altre opere sui supereroi Marvel - soprattutto l’ultimo “Spiderman Blue”.
C’è qui un forzato utilizzo della craftsmanship - una perizia consolidatasi nelle prove precedenti, ma gli autori non ritrovano l’emozione, il doloroso filo conduttore che costringeva i protagonisti lungo quei viaggi a ritroso.
Ispirandosi dichiaratamente al mostro di Frankenstein di Boris Karloff, e velatamente ad alcune tematiche psicoanalitiche dell’era Peter David, i due artisti si perdono soprattutto nell’impossibilità di identificare il Mostro – i cui atti Banner ricorda a malapena – col lettore.
Un occasione parzialmente perduta, che non manca tuttavia di dare nuova linfa al filone dei “super problemi” del primissimo Stan Lee – che siamo spinti a rileggere più spesso del suo “Grigio” remake.


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