Adastra in Africa *** (USA 1999, b/n, pag. 56) Soggetto: Barry Windsor-Smith [Barry Smith]. Disegni: Barry Windsor-Smith [Barry Smith]. Nel cuore dell’Africa Nera la dea Adastra porta acqua e vegetazione in un villaggio afflitto dalla carestia. A questo popolo tragico è chiesto però un ultimo sacrificio.
Favola dolceamara nel più autentico stile di Barry Windsor-Smith, da un lato ancora memore della collaborazione artistica con Chris Claremont, dall’altro entusiasticamente fiducioso nel nuovo corso della sua avventura editoriale “Storyteller”. Opera breve ed intensa, va amata come poesia, accettata nella sua vaga ed evocativa ispirazione Joyciana, e compresa per la sua particolarità sperimentale: Adastra “pensa” [tutta la prima parte utilizza solo didascalie in prima persona] come nei versi del Grande Bardo, ma “parla” lo slang dei quartieri popolari di New York. Altrettanto i disegni, in bianco e nero [prima prova senza il colore per Windsor-Smith, se escludiamo qualche antico fumetto su “Epic Illustrated”], sono un dialogo privato tra l’artista ed il suo immaginario, persi in mille dettagli al limite della leggibilità, a discapito delle profondità di campo, e solo lontanamente al servizio della sceneggiatura. Una prova di coraggio, se possibile da amare senza chiedere altro.
L’edizione italiana, arrivata solo nel 2005, manca l’obiettivo di trovare un registro linguistico per le didascalie di gusto elisabettiano – ed è un peccato.
Favola dolceamara nel più autentico stile di Barry Windsor-Smith, da un lato ancora memore della collaborazione artistica con Chris Claremont, dall’altro entusiasticamente fiducioso nel nuovo corso della sua avventura editoriale “Storyteller”. Opera breve ed intensa, va amata come poesia, accettata nella sua vaga ed evocativa ispirazione Joyciana, e compresa per la sua particolarità sperimentale: Adastra “pensa” [tutta la prima parte utilizza solo didascalie in prima persona] come nei versi del Grande Bardo, ma “parla” lo slang dei quartieri popolari di New York. Altrettanto i disegni, in bianco e nero [prima prova senza il colore per Windsor-Smith, se escludiamo qualche antico fumetto su “Epic Illustrated”], sono un dialogo privato tra l’artista ed il suo immaginario, persi in mille dettagli al limite della leggibilità, a discapito delle profondità di campo, e solo lontanamente al servizio della sceneggiatura. Una prova di coraggio, se possibile da amare senza chiedere altro.
L’edizione italiana, arrivata solo nel 2005, manca l’obiettivo di trovare un registro linguistico per le didascalie di gusto elisabettiano – ed è un peccato.
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