Pamphlet autocelebrativo della Marvel Comics, che non tralascia proprio nulla della vita editoriale che la rese celebre negli anni sessanta (l’arrivo di Galactus e la morte di Gwen Stacy in primis), senza trascurare i comic book della Golden Age – le primissime storie di Sub-Mariner e di Capitan America & Bucky, poco note da noi.
Il racconto è svolto con illustrazioni iper-realistiche, a sancire il proposito velatamente ricattatorio dei testi – “noi eravamo lì, abbiamo sofferto con le Meraviglie, avuto paura, gioito e pianto” -, ma scomodare addirittura Norman Rockwell, come certa critica italiana, per pur bellissimi acquarelli, sembra eccessivo: essi suggeriscono analogie piuttosto con le vecchie copertine de “La Domenica del Corriere”, delle quali Alex Ross, pur americano, ne sposa la filosofia dello “strano ma vero”.
“Marvels” è stato serializzato nel 1994 in un formato – e con intenti – che lo ponevano al naturale testimone del cosiddetto Rinascimento Americano (“Dark Knight Returns”, “Watchmen”), ma ironicamente di quel periodo ne è anche l’epitaffio: da allora in poi l’Autore lascia il posto alla macchina produttiva a base di colori digitali, ipertrofie ed architetture barocche, confezionati in volumi con ologrammi, copertine “variant”, e mille espedienti di marketing, che affosseranno per anni le vendite e la fiducia dei lettori del genere supereroistico.
Successo comunque planetario per questa graphic novel, che ha ricevuto decine di ristampe in tutto il mondo. In Italia sono state pubblicate tre diverse edizioni, due cartonate ed una economica: quest’ultima, per la biblioteca di Repubblica, mostra pericolosamente che l’autore dell’introduzione non ha mai letto l’opera. Nella medesima edizione le tavole sono bellamente tagliate ai bordi laterali.
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