Absolute Watchmen ***½ (USA 2005, col, pag. 464) Soggetto: Alan Moore. Disegni: Dave Gibbons. Anni ottanta. In una realtà parallela in cui Nixon è ancora presidente degli Stati Uniti [i giornalisti che denunciano lo scandalo Watergate, Woodward e Bernstein, vengono trovati morti "in un garage"], il mondo è popolato da giustizieri incappucciati. Epocalmente si dividono nel gruppo dei "Minutemen", costituiti durante il secondo conflitto mondiale, ed i "Crimebusters", fine anni sessanta. Alcuni dei vecchi supereroi, allora giovanissimi, collaborano col nuovo gruppo. Altri, tra i nuovi Crimbusters, sono eredi in spirito, ed addirittura di sangue, degli eroi anni quaranta. Ma la nuova squadra possiede tecnologie ed abilità più avanzate dei predecessori, ed in particolare Dr. Manhattan [dal nome del progetto della prima bomba atomica] ha poteri quasi illimitati. La vicenda inizia quando Comedian, cinico e violento personaggio della vecchia e della nuova squadra, è gettato dalla finestra di un grattacielo. Anche Dr. Manhattan e l'ambiguo Rorsach sembrano vittime di una cospirazione contro i giustizieri in costume [tutti già fuorilegge per mezzo d’un atto governativo di qualche anno prima]. Queste azioni ostili contro i superuomini sortiscono però l'effetto opposto: il timido Nite Owl e la complessata Silk Spectre tornano in azione, per riunire i vecchi colleghi, e scongiurare il pericolo di un imminente conflitto nucleare.
Fumetto che ha riscosso un successo probabilmente ancora insuperato. La qualità del soggetto e dei disegni è infatti indiscutibile, e scuote anche il lettore distratto. In realtà l'operazione che lo sceneggiatore inglese applica al genere supereroistico, pregna di polemiche, non si discosta molto dalla prassi gradita agli appassionati del genere. Alcune lunghe sequenze, in flash-back, sono dedicate alle origini dei superuomini, nella migliore tradizione di Hulk ed il Punitore. Mentre per quasi tutte le 400 pagine necessarie a svolgere la vicenda, anziché prendersi a pugni, ragnatele e palle di fuoco, come i vecchi personaggi dell'era di Stan Lee, i protagonisti di Watchmen litigano tra loro, mettendo in campo crudeltà verbali secondo registri affini alla cinematografia tutta dialogata di Altman o Nichols. Purtroppo, quando passano ai fatti, i Watchmen sono omicidi, stupratori, monomaniaci e manipolatori – secondo una spontaneità nell’agire che li compenetra. Uscita nel 1986 in dodici albi - ogni numero con alcuni elementi autoconclusivi ed altri ricorrenti -, la miniserie ha ricevuto il bene placet della DC Comics [quella di Superman e Flash], che aveva già acquistato da Moore il progetto dolente e pessimista di "V for Vendetta". La pubblicazione avviene a pochi mesi dalla cosiddetta rinascita americana [tra gli esponenti, l'omologo Frank Miller - tra i due c’è all'epoca un rapporto di cordiale indifferenza -, Kevin Maguire, Bill Sienkiewicz, ed altri]. Con la legittimazione da parte della più prestigiosa casa di fumetti di supereroi, resta da stabilire quanto Moore provasse simpatia per i propri personaggi, durante il suo sforzo di distruggere con la penna un tale mito economico e culturale. Invero nella graphic novel il soggettista inglese propugna un messaggio unico, il pacifismo anni settanta. La sua equazione è che giustiziere solitario equivale a prevaricazione ed abuso. Ma l'oceanica risposta di sincero affetto da parte dei fan, che parteggiano per gli eroi giusti - ammesso che vi siano -, e le pressanti richieste di un sequel - alle quali Moore ha sempre risposto negativamente -, allarmano su quanto, nell'industria dei comics, sia facile entrare nell'ingranaggio, ed i pupazzetti dei protagonisti, sarcasticamente pubblicizzati nel racconto, vengono prodotti dalla DC quasi immediatamente.
La graphic novel è raccolta in volume, esportata immediatamente in Inghilterra, poi in quasi tutto il mondo, diventando oggetto di culto, tra passaparola e critica conforme. In Italia è uscita - fatta a pezzetti - in una rivista contenitore, e finalmente nella sua interezza in tre diversi volumi, fino all'edizione economica del 2005 che ne ha rinnovato la popolarità, ma dalla quale scompare l'incipit di Giovenale "Quis custodiet ipsos custodes?" [chi controlla i controllori?], che è il fulcro per l'approccio all'opera.